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[...] Una voce disse: “Flush”. Non la udì. “Flush” ripetè la voce una seconda volta. Flush trasalì. Si era creduto solo. Si volse. C’era un essere vivente nella stanza, oltre a lui? C’era qualche cosa, là sull’ottomana? Nella violenta speranza che quell’essere umano, quale esso fosse, potesse aprirgli la porta, sì ch’ei potesse correr sulle orme di Madamigella Mitford e rintracciarla – forse non si trattava altro che d’un gioco a rimpiattino come spesso ne facevano a casa nella serra – Flush si slanciò verso l’ottomana.
“Oh, Flush!” disse Madamigella Barrett. Per la prima volta ella lo guardò in faccia. Per la prima volta Flush guardò la dama coricata sull’ottomana. Entrambi rimasero sorpresi. Grevi riccioli pendevano lungo il volto di Madamigella Barrett, da ambo le parti; grandi occhi brillavano vivaci; una bocca larga sorrideva. Pesanti orecchie pendevano ai lati del muso di Flush; anche i suoi occhi erano grandi e vivaci; larga la sua bocca. Quei due si rassomigliavano. Mentre si guardavano, ognuno senti: Quello sono io – e ognuno sentì poi: Ma quanto diverso! Qui, il viso pallido consunto di un’inferma segregata dall’aria libera, dalla luce, dalla libertà. Là, la faccia sana e fresca di un giovane animale; piena di salute e di energia.
Divisi l’una dall’altro, e pur fatti nel medesimo stampo, chissà se ciascuno di essi non avrebbe completato ciò che nell’altro sonnecchiava? Ella avrebbe potuto essere... questo ed altro; e lui... Ma no. Tra quei due si stendeva il più vasto abisso che separar possa una creatura da un’altra. L’una parlava. L’altro era muto. L’una era una donna; l’altro era cane. Così strettamente uniti, così immensamente divisi, si guardavano. Poi, con un salto Flush fu sull’ottomana e si accucciò la dove per sempre sarebbe stato il posto suo, da quel dì in poi – sulla coperta, ai piedi di Madamigella Barrett. [...]

Virginia Woolf
(da “Flush biografia di un cane”, La Tartaruga edizioni, 2000)

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