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[...] Ma un necessario complemento umano gli mancava, nella sua vita di cacciatore: un cane. C’ero io, che mi buttavo per le fratte, nei cespugli, per cercare il tordo, il beccaccino, la quaglia, caduti incontrando in mezzo al cielo il suo sparo, o anche le volpi quando, dopo una notte di posta, ne fermava una a coda lunga distesa appena fuor dei brughi. Ma solo qualche volta io potevo scappare a raggiungerlo nei boschi: le lezioni con l’Abate, lo studio, il servir messa, i pasti coi genitori mi trattenevano; i cento doveri del viver familiare cui io mi sottomettevo, perché in fondo la frase che sentivo sempre ripetere: “In una famiglia, di ribelle ne basta uno”, non era senza ragione, e lasciò la sua impronta su tutta la mia vita. Cosimo dunque andava a caccia quasi sempre da solo, e per recuperare la selvaggina (quando non succedeva il caso gentile del rigogolo che restava con le gialle ali stecchite appeso a un ramo), usava delle specie d’arnesi da pesca: lenze con spaghi, ganci o ami, ma non sempre ci riusciva, e alle volte una beccaccia finiva nera di formiche nel fondo d’un roveto. Ho detto finora dei compiti dei cani da riporto. Perché Cosimo allora faceva quasi soltanto caccia da posta, passando mattine o nottate appollaiato sul suo ramo, attendendo che il tordo si posasse sulla vetta d’un albero, o la lepre apparisse in uno spiazzo di prato. Se no, girava a caso, seguendo il canto degli uccelli, o indovinando le piste più probabili delle bestie da pelo. E quando udiva il latrato dei segugi dietro la lepre o la volpe, sapeva di dover girare al largo, perché quella non era bestia sua, di lui cacciatore solitario e casuale. Rispettoso delle norme com’era, anche se dai suoi infallibili posti di vedetta poteva scorgere e prendere di mira la selvaggina rincorsa dai cani altrui, non alzava mai il fucile. Aspettava che per il sentiero arrivasse il cacciatore ansante, a orecchio teso e occhio smarrito, e gli indicava da che parte era andata la bestia. Un giorno vide correre una volpe: un’onda rossa in mezzo all’erba verde, uno sbuffo feroce, irta nei baffi; attraversò il prato e scomparve nei brughi. E dietro : - Uauauaaa! – i cani. Giunsero al galoppo, misurando la terra con i nasi, due volte si trovarono senza più odore di volpe nelle narici e svoltarono ad angolo retto. Erano già distanti quando con un uggiolio: Uí, uí, - fendette l’erba uno che veniva a salti più da pesce che da cane, una specie di delfino che nuotava affiorando un muso più aguzzo e delle orecchie più ciondoloni d’un segugio. Dietro, era pesce; pareva nuotasse sguazzando pinne, oppure zampe di palmipede, senza gambe e lunghissimo. Uscì nel pulito: era un bassotto. Certamente, s’era unito al branco dei segugi ed era rimasto indietro, giovane com’era, anzi quasi ancora cucciolo. Il rumore dei segugi era adesso un – Buaf, - di dispetto, perché avevano perso la pista e la corsa compatta si diramava in una rete di ricerche nasali tutt’intorno a una radura gerbida, con troppa impazienza di ritrovare il filo d’odore perduto per cercarlo bene, mentre lo slancio si perdeva, e già qualcuno ne approfittava per fare una pisciatine contro un sasso. Così il bassotto, trafelato, col suo trotto a muso alto ingiustificatamente trionfale, li raggiunse. Faceva, sempre ingiustificatamente, degli uggiolii di furbizia, - Uài! Uài! Subito, i segugi, - Aurrrch! – gli ringhiarono, lasciarono lì per un momento la ricerca d’odor di volpe e puntarono controllo di lui, aprendo bocche da morsi, - Ggghrr! – Poi, rapidi, tornarono a disinteressarsene, e corsero via. Cosimo seguiva il bassotto, che muoveva passi a caso là intorno, e il bassotto, ondeggiando a naso distratto,vide il ragazzo sull’albero e gli scodinzolò. Cosimo era convinto che la volpe fosse ancora nascosta lì. I segugi erano sbandati lontano, li si udiva a tratti passare sui dossi di fronte con un abbaio rotto e immotivato, sospinti dalle voci soffocate e incitanti dei cacciatori. Cosimo disse al bassotto: - Dài! Dài! Cerca! Il cane giovane su butto ad annusare, e ogni tanto si volava a guardare in su il ragazzo. – Dài! Dài! Ora non lo vedeva più. Sentì uno sfascío di cespugli, poi, a scoppio: - Auauauaaa! Iaí, iaí, iaí! – Aveva levata la volpe! Cosimo vide la bestia correre nel prato. Ma si poteva sparare a una volpe levata da un cane altrui? Cosimo la lasciò passare e non sparò. Il bassotto alzò il muso verso di lui, con lo sguardo dei cani quando non capiscono e non sanno che possono aver ragione a non capire, e si ributtò a naso sotto, dietro la volpe. - Iaí, iaí, iaí – Le fece fare tutto un giro. Ecco, tornava. Poteva sparare o non poteva sparare? Non sparò. Il bassotto guardò in su con un occhio di dolore. Non abbaiava più, la lingua più penzoloni delle orecchie, sfinito, ma continuava a correre. La sua levata aveva disorientato segugi e cacciatori. Sul sentiero correva un vecchio con un greve archibugio. – Ehi – gli fece Cosimo, - quel bassotto è vostro? - Ti andasse nell’anima a te e a tutti i tuoi parenti! – gridò il vecchio che doveva aver le sue lune. – Ti sembriamo tipi da cacciare coi bassotti? - Allora a quel che leva, io ci sparo, - insisté Cosimo, che voleva proprio essere in regola. - E spara anche al santo che t’ha in gloria! – rispose quello, e corse via. Il bassotto gli riportò la volpe. Cosimo sparò e la prese. Il bassotto fu il suo cane; gli mise nome Ottimo Massimo. [...]
Italo Calvino
(da “Il barone rampante”, Einaudi, 1957)

1 commento:

Adele Emme B & B ha detto...

Complimenti per questo "Inizio" blog: niente più del comunicare le "cose" che per te valgono con un Golden, il tuo, a fianco, avrebbe potuto essere di miglior auspicio ed intendimento !
Buona continuazione....