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[...] Capii allora ciò che fino a quel momento avevo appena intuito. Ma metamorfa così bene, solo perché altrettanto bene si rammenta della nostra comune origine. O meglio, non se la rammenta: ce l’ha dentro a tal punto che le vien fuori tutte le volte che se ne presenta l’occasione. Genesis, nascita: che importa essere umani o animali? Nessuno, neanche i credenti, sa cosa c’è prima del risveglio, tant’è vero che nessuno ce l’ha mai raccontato (il Genesis, appunto, comincia da lì, ma prima?) Chi si sveglia, sa solo che s’è svegliato, che dallo stato di sonno è passato allo stato di veglia (e da quel momento comincia paurosamente a immaginare cosa gli capiterà quando sopravverrà il nuovo sonno, questa volta lungo, lunghissimo, anzi illimitato): tutti quanti, nessuno escluso, - forse neanche la pianta, forse neanche la pietra, - siamo passati di lì, ecco perché tutti quanti ci riconosciamo così facilmente in quell’attimo, passeggero ma decisivo, in cui siamo transitati come meteore dall’ombra alla luce (per ripercorrerlo un giorno all’indietro, esattamente con le stesse modalità, ma retroverse, anch’esse uguali per tutti, umani e animali).
Capii che anche Ma in quel momento era illuminata da questa rivelazione. Stava seduta su quella vecchia seggiola, con i suoi abiti da viaggio stazzonati, e il sole estivo, sempre più splendente, le illuminava da dietro i capelli biondi e le faceva come un’aureola intorno alla testa. Cosa le importava se quei sei bimbi erano miei, se erano usciti dal mio orifizio, del resto tanto simile al suo? Lei stava pensando che quei sei bimbi erano suoi. Li aveva fatti lei insieme a me, anzi, li aveva fatti lei con quel medesimo corpo con cui così splendidamente metamorfava con me, e che perciò era nella stessa misura sia suo che mio, sia mio che suo, Ci possono essere bambini procreati contemporaneamente da femmine di specie diverse, al di là degli orribili intrugli genetici di cui gli umani mostrano d’essere capaci? Io e Ma provammo con la nostra viva esperienza che era possibile. Fu così che i miei sei figli ebbero una doppia madre, e c’è qualcuno che ancora se ne ricorda [...].

Alberto Asor Rosa
(da “Storie di animali e altri viventi”, Einaudi, 2005)

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