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Il loro primo pellegrinaggio fu a quell’albero che in un’incisione profonda nella scorza, già tanto vecchia e deformata che non pareva più opera di mano umana, portava scritto a grosse lettere: Cosimo, Viola, e – più sotto – Ottimo Massimo.
- Quassù? Chi è stato? Quando?
- Io: allora.
Viola era commossa.
- E questo cosa vuol dire? – e indicava le parole: Ottimo Massimo.
- Il mio cane. Cioè il tuo. Il bassotto.
- Turcaret?
- Ottimo Massimo, io l’ho chiamato così.
- Turcaret! Quando avevo pianto, quando partendo m’ero accorta che non l’avevano caricato in carrozza... Oh, di non vedere più te non m’importava, ma ero disperata di non avere più il bassotto!
- Se non era per lui non t’avrei ritrovata! E’ lui che ha fiutato nel vento che eri vicina, e non ha avuto pace finché non t’ha cercata...
- L’ho riconosciuto subito, appena l’ho visto arrivare al padiglione, tutto trafelato... Gli altri dicevano: “E questo donde salta fuori?” Io mi son chinata a osservarlo, il colore, le macchie. “Ma questo è Turcaret! Il bassotto che avevo da bambina a Ombrosa!”.
Cosimo rideva. Lei improvvisamente torse il naso. – Ottimo Massimo... Che brutto nome! Dove vai a pescare dei nomi così brutti? – E Cosimo s’oscurò subito in volto.
Per Ottimo Massimo ora invece la felicità non aveva ombre. Il suo vecchio cuore di cane diviso tra due padroni aveva finalmente pace, dopo aver faticato giorni e giorni per attirare la Marchesa verso i confini della bandita, al frassino dove era appostato Cosimo. L’aveva tirata per la sottana, o le era fuggito portando via un oggetto, correndo verso il prato per farsi inseguire, e lei: - Ma cosa vuoi. Dove mi trascini? Turcaret! Smettila! Ma che cane dispettoso ho ritrovato! – Ma già la vista del bassotto aveva smosso nella sua memoria i ricordi dell’infanzia, la nostalgia d’Ombrosa. [...]

Italo Calvino
(da “Il barone rampante”, Einaudi, 1957)

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