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[...] Siamo rimaste sole noi due, io e Femmina Umana. Io mi sono ritirata in un angolino fra il divano e un mobile scuro. Siccome nel codice genetico Esterházy vengono al primo posto l’eleganza e il contegno, non posso che comportarmi come la mia natura mi comanda. Sono sdraiata a terra, con le zampe composte sul davanti e il musetto appoggiato su quella di destra. Apparentemente tranquilla. Ma ho le orecchie schiacciate contro la testa, che per me è sempre segnale di preoccupazione e di timore, e non riesco a trattenere un lieve mugolio intermittente. Che diamine! In fondo, sono come una bambina di due anni che in pochi giorni ha perso la mamma e i fratellini, ha cambiato totalmente i luoghi della sua vita e ora s’inoltra, sola e indifesa, in un mondo sconosciuto, fra urla incomprensibili, fuochi che prima risplendono e poi si spengono e amici che prima ci sono e poi scompaiono!
Femmina Umana ora sta distesa sul divano con le gambe diritte allungate in avanti con iraconda energia e lo sguardo gelido fisso su di me. Per giunta, ora, ad aumentare il mio terrore, manda fumo dal naso e dalla bocca, aspirando uno stecchetto bianco che tiene fra due dita! Passa un tempo infinito. Poi succede qualcosa di strano. Femmina Umana ha smesso di mandar fumo dal naso e dalla bocca. Mi fissa ancora duramente, ma nei suoi occhi il grigio ferro sta tornando pervinca. Io, da parte mia, mantengo le orecchie strette alla testa e mugolo sempre più debolmente, intontita dalla paura. Poi succede qualcosa di ancor più strano. Si direbbe che, prima impercettibilmente, poi in maniera sempre più decisa, Femmina Umana stia scivolando giù dal divano. Pian piano, un trattino dietro l’altro, Femmina Umana vien giù dal divano. Che diavolo succede? Femmina Umana ora è tutta sul pavimento e, con movimenti altrettanto impercettibili, scivola lentamente verso di me. Scivola che ti scivola, è arrivata di fronte a me, esattamente alla mia altezza (che ovviamente non è tanto grande). Per farlo Femmina Umana sta lunga distesa sul pavimento, con la disinvoltura di chi non abbia fatto altro fino a quel momento. La guardo da questa distanza estremamente ravvicinata, gli occhi negli occhi: i suoi occhi sono tornati di un assoluto, limpidissimo color pervinca, e per giunta umidi, come se un po’ di brina le fosse scesa dentro dall’alto. Il mio cuore batte forte, anzi fortissimo: tum, tum, tum, tum, tum... Come vorrei che fosse vero quel che comincio a pensare che sia vero! Femmina Umana inizia a parlare. Com’è dolce ora quella voce, come mi piace! “Piccolina, ti ho spaventato! Cattiva che non sono altro! Piccolina, piccolina, piccolina!” Non resisto più: smetto di tenere le orecchie appiccicate alla testa, compio un gioco di prestigio e le faccio schizzare tutt’e due verso l’alto, muovo freneticamente il mio mozzicone di coda, balzo su di lei, le lecco impetuosamente la fronte, il naso, il mento, gli occhi pervinca. “Si, - fa lei, - si, piccolina, piccolina, piccolina...” [...]
Femmina Umana non ha la pelliccia né le tette calde né la lingua morbida e delicata di Mami: ma ha il suo calore e la sua forza e la sua dolcezza, il suo desiderio spontaneo e disinteressato di piacere e soprattutto di piacermi. Decido in un solo istante che Femmina Umana è e sarà per sempre da quel momento, la mia Mami, la mia Ma: per i baci che m’ha dato quando tutto sembrava crollarmi addosso, per l’adozione che ha fatto di me, quando sembrava che fossi destinata a diventare, come tante, una povera cagnetta solitaria, sperduta nel mondo freddo e ostile che di sicuro c’è tutto intorno, anche se finora io gli ho dato solo uno sguardo.
Sono grata a Po di avermi condotta da Ma. Ma voglio che Ma sappia che sono sua. Mi getto di nuovo su di lei, torno a leccarle la faccia, m’impadronisco della sua mano, la stringo con la mia bocca quanto posso. Se lei ha adottato me, io ho adottato lei, e con il segno dei miei piccoli denti sulla sua carne solennemente lo proclamo. Finché ci sarò il tempo (e io certo non so quanto), le resterò legata come un cucciolo, un bambino, che guarda alla fonte di tutti i suoi piaceri: il principio della madre, senza il quale nessuno può sopravvivere ed esser felice. [...]

Alberto Asor Rosa
(da “Storie di animali e altri viventi”, Einaudi, 2005)

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